Addio a Tura Satana
[...] Non è che Tura Luna Pascual Yamaguchi sia stata esattamente l’attrice più famosa della storia. Anzi. Ha esordito nel 1963 – faceva la prostituta parigina in Irma la dolce, quello lì di Billy Wilder con Jack Lemmon che è un po’ bello – e ha girato pochi film; in più, come dire?, parliamo di roba che in pochissimi hanno visto e apprezzato. Avete presente Ed Wood, quel film di Tim Burton che si distingue dagli altri film di Tim Burton perché non piace alle ragazze gotiche che piangono nel loro letto di velluto nero mentre accendono cerini al Maligno e ascoltano i My Chemical Romance lamentandosi di quanto faccia schifo la vita? Ecco, Tura Satana recitava in quel genere di film lì di cui si parla in Ed Wood. Quelli low budget, intrinsecamente stupidi, pieni di tette, mostri spaziali e pessimi effetti speciali. Era in The Astro-Zombies, per esempio; faceva Satana. Non era particolarmente talentuosa, ma rubava la scena a chiunque perché era una tettona di un metro e novanta di origini giapponesi. Come la volta che fu Varla per Russ Meyer. Il quale, faccio tre righe di parentesi, era un erotomane con la fissa per i seni giganti e le macchine veloci, ma era anche un uomo con una visione, stracolmo di talento – guardatevi Motorpsycho! e parliamone – e di intuizioni, che ha anticipato Punto Zero e Duel, oltre ad avere fornito a Tarantino materiale a sufficienza per altri dieci film, otto corti, due finti trailer, un libro di fotografie e un dagherrotipo. Ma comunque. Sono più di tre righe. Ma ne valeva la pena.
Il film più famoso di Russ Meyer, quello dove Tura Satana ha toccato il suo apice, si chiama Faster, Pussycat! Kill! Kill!, ed è un film al contempo femminista fino al midollo e lascivamente maschilista. Racconta la vicenda di tre ragazze con le tette grosse che vanno in giro in macchina a fare il culo a gente a caso. C’è un sacco di deserto. C’è un pazzo che azzecca inquadrature da Oscar e le alterna a riprese tipo pranzo di Natale in famiglia quando il papà ha appena comprato la telecamera e vuole assolutamente che il figlio faccia le boccacce così uh uh quando lo vedranno i miei colleghi creperanno di invidia (per la telecamera, non per il figlio). Soprattutto, ci sono figure femminili che, pur incarnando lo stereotipo della vixen che ti frusta a sangue in un bordello di Amsterdam, hanno anche una loro forza, una loro dignità, non si fanno reificare – se non dal regista stesso, ma allora anche Tarantino è un porco maschilista? – e non rinunciano comunque a essere donne, anche se effettivamente quanto ho scritto finora potrebbe venir fuori dalla penna di una giornalista cinquantenne di D, o meglio dalla tastiera, a meno che le giornaliste cinquantenni di D non usino ancora la penna, che comunque ne uccide più della spada, che sia di Damocle o meno.
Tutto questo per dire che Faster, Pussycat! Kill! Kill! è un capolavoro, bello da vedere non solo per le tette ma anche per fotografia e deserto a profusione, e Tura Satana sta a quel film come Ibra sta al Milan: come fai senza? E quindi sì, sono molto triste per la morte dell’attrice. Ma lo sono ancora di più per la morte della donna. La cui vita è (stata) meglio di un film, e merita di essere raccontata, anche solo per farvi venire la voglia di leggervi la biografia su Wiki, e magari, chissà, anche un paio di libri su di lei e su Russ Meyer. Proverò a farla breve, perché è inutile ricamare e poetare su quanto sto per scrivervi.
Tura Satana nasce Tura Luna Pascual Yamaguchi, in Giappone, nel lontano 1938 quando l’Italia di Pozzo vinceva i Mondiali grazie a Piola. Figlia di un mimo giapponese di origini filippine e di un’acrobata del circo di sangue indiano (quelli con le piume, non quelli del Gange) e antenati irlandesi, viene trasferita a forza, insieme alla famiglia, nel campo di concentramento di Manzanar, in California; alla fine della guerra, finisce a Chicago. Da lì, la sua vita comincia a diventare bizzarra.
Sapete, Tura era alta. E, ehm, prosperosa. Nel senso, molto alta e molto prosperosa. Tipo che già da piccina aveva più tette di Keira Knightley (SIMILITUDINI AZZECCATE! PARAGONI EFFICACI!), e tutti la prendevano in giro, a scuola (valli a capire). All’età di nove anni, mentre passeggiava leggiadra, venne stuprata da un gruppo di cinque uomini. Tura decise di studiare un po’ di arti marziali (aikido e karate) e, nel corso dei successivi quindici anni, girò per l’America in cerca dei suddetti cinque uomini che l’avevano violentata. Li trovò tutti e LI MASSACRÒ DI MAZZATE, non prima di aver spiegato loro chi fosse e perché stesse facendo loro quel che stava facendo loro (sì, come in quel film lì). Nel frattempo, entrò in una gang di donne motocicliste («We had leather motorcycle jackets, jeans and boots and we kicked butt»). A 13 anni si sposò, ma fuggì dal marito per andare a vivere a Los Angeles, dove tentò (fallendo) la carriera di cantante blues e dove intraprese (con successo) la carriera di modella di nudo.
Divenne poi una danzatrice nel Club Rendevouz di Calumet City (DAVVERO!), con il nome di Galatea, La Statua Che Prese Vita. In breve tempo la sua carriera decollò, tanto che Tura decise di fare il grande salto e diventare ballerina di burlesque. Esatto, proprio quel ballo che va tanto di moda tra le trentenni annoiate e in cerca di uomo da sposare, e che ha sostituito pilates, yoga, danza del ventre e i video didattici di Cindy Crawford nell’immaginario erotico-zitellario delle casalinghe disperate di tutto il mondo. Poi certo, Tura ballava il vero burlesque, non quello patinato di Christina Aguilera, la quale, comunque, buttala via. Tura divenne anche stripper, lavorando con altre star dell’epoca come Rose Le Rose e Tempest Storm. Rimase incinta, ma questo non le impedì di esibirsi fino all’ottavo mese di gravidanza.
A QUESTO PUNTO, ALL’ETÀ DI VENT’ANNI, cominciò a recitare per la tv e, successivamente per il cinema. Frequentò Elvis, che le chiese anche di sposarlo. Lei rifiutò, ma si tenne l’anello di fidanzamento. Cominciò a girare dei film. Fece cose.
Taglio fino al 1973, quando un ex amante le scarica addosso un caricatore. Nel senso che le spara, non nel senso che toglie il caricatore dalla pistola e glielo tira contro, eh. A quel punto va in ospedale a farsi medicare e scopre che le piace talmente tanto il posto che diventa un’infermiera tettona. Lo rimane per quattro anni, quando comincia a lavorare per la polizia di Los Angeles. Nel 1981 si rompe la schiena in un incidente d’auto. Da allora, un calvario di operazioni di vario genere e il progressivo scivolamento verso l’oblio, almeno fino a che la nascita di Internet, e quindi della possibilità di accesso illimitato a qualsiasi risorsa anche per il più sfigato dei fanboy di Rob Zombie che ha visto La casa del diavolo e si chiede da dove possa derivare un’idea così geniale, riporta il suo nome in auge nelle segrete stanze del culto sotterraneo degli anni Sessanta [...]
[tratto da Just Like Honey - il blog di Gabriele Ferrari]